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Una piccola cronaca sul bocage furibondo

lunedì 31 dicembre 2012

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Contro l’aeroporto ed il suo mondo Una piccola cronaca sul bocage furibondo

Siamo arrivat-i-e da un po’ dappertutto per qualche settimana e vorremmo trasmettere quello che abbiamo vissuto qui, per motivare dei gruppi di compagn-i-e a proseguire le dinamiche scaturite seguito alla manifestazione di rioccupazione del 17 novembre e nella continuità del periodo di espulsioni. Con questo testo, vorremmo porre delle osservazioni/riflessioni intorno a questa lotta che assommiglia sempre più seriamente ad un movimento. Movimento nel senso che prima era piuttosto “facile” afferrare la situazione sulla ZAD e quella della lotta contro l’aeroporto, ormai superata dalla massa di gente/collettivi/gruppi/comitati che se la sono appropriata. Movimento pure nella moltiplicazione e la pluralità di forme di azioni, di resistenza e di attacchi che trovano il loro posto, si completano senza necessitare per forza di coordinarsi, sono note senza aver bisogno di essere esplicitate, sono spesso approvate e poco criticate.

Dal nostro primo passaggio, è volontà nostra cercare di rinforzare la lotta contro l’aeroporto con l’azione diretta come pratica, cioè la lotta senza mediazione, senza trattative con innumerevoli gestori, pubblici e privati, del progetto (cosa non capiscono nel NO?). Ci era necessario concoscere la storia di questa lotta, la gente e le associazioni che la compongono. Ogni volta che arrivavamo sul posto, cercavamo di captare di nuovo l’atmosfera del momento, come si sentivano i-le nostr-i-e compagn-i-e e amic-i-he, come progredivano i lavori, quali erano state le azioni condotte di recente e le reazioni che suscitavano presso le varie componenti della lotta, come evolvevano i rapporti con la gente e i contadin-i-e del posto, quali forme assumeva l’organizzazione quotidiana sulla ZAD tra i diversi luoghi di vita, in che modo si impostava la campagna contro Vinci, l’organizzazione della manifestazione di rioccupazione, e gli strumenti della lotta.

POSIZIONI POLITICHE : Una lotta costante all’interno di un movimento. Quando un movimento cresce all’improvviso, alcune cose possono rapidamente oltrepassarci, in particolar modo su questioni politiche di fondo. Sulla ZAD, prima, durante e dopola manifestazione di rioccupazione, è stato condotto un lavoro di fondo contro il recupero da parte di partiti politici o altre organizzazioni ed ha portato i suoi frutti per il seguito.

Rispetto ai partiti polici. Prendere posizione e portare, durante iniziative ed in assemblea generale, delle posizioni richiedenti un movimento “popolare” e il più orizzontale possibile, hanno permesso ad alcuni individui di emanciparsi momentaneamente dalla loro organizzazione e di essere attori o attrici nell’ambito dell’organizzazione della manifestazione di rioccupazione. Allo stesso tempo, ciò ha consentito di lasciare il minor spazio possibile ai recuperatori politici 1.

Grossa sfida, dato che si deve valutare il proprio posizionamento tra, da un canto, la celebre frase “non ci si deve dividere”e, daltro canto, portare posizioni politiche e pratiche all’interno della lotta 1 in movimento(vedereil testo “noi vogliamo una manifestazione, non una sfilata”) .

È importante partecipare, e quindi intervenire, in questi momenti di assemblea generale ove si giunge a dei compromessi o a delle incoerenze politiche per interrogarle, e quindi fare in modo di “ trovarci senso” per non abbandonare il terreno dei discorsi, e non abbandonare il terreno della lotta.

Grossa sfida perchè è facile criticare e sorridere insieme quando una vetrina del PS (partito socialista) esplode dall’altra parte della Francia, più difficile quando si tratta di azioni contro Europe Ecologie Les Verts (E.E.L.V = Europa Ecologia I Verdi) o il Front de Gauche (Fronte di Sinistra) di cui alcuni militanti sono presenti sul campo 2. Alla fine, alla manifestazione, poche bandiere e assenza de-i-lle dirigenti di partiti assenti o non proprio a loro agio, il lavoro di fondo è stato efficace, e non è un dettaglio allorché dei membri di sindacati o organizzazioni pretendono voler presentarsi come “individui in lotta”.

Nonostante ciò, ci sembra che il discorso che abbiamo portato per “dividere il meno possibile” non sia stato concludente. In effetti, rifiutare la presenza dei partiti politici, portando avanti il fatto “ci hanno sputato addosso per anni, denunciando i violenti e gli ultra”, trascura un po’ troppo anche il fatto che (e forse sopratutto) vogliamo tendere a rompere, in questa lotta e nelle altre, con tutti i partiti politici o organismi recuperatori, mediatori, riformisti. Questo può parere una smentita di fronte alle accuse di essere violenti, radicali, ultras, perchè possiamo dissociarsi da questi termini ma non dalle pratiche di lotta che conterrebbero.

Queste ultime settimane, alcune delle diverse posizioni politiche si sono affievolite allo scopo di restare assieme con un obbiettivo comune (fermare il progetto) e parziale (rioccupare costruendo). Tuttavia ci sono sempre state delle divergenze e potrebbero riemergere peggio di prima per esempio al momento di proposte di trattative formulate dalla prefettura.

Come si potrebbe allora scegliere di lasciar ridefinire delle posizioni molto diverse o spingere a delle decisioni comuni a costo di fare compromessi? I termini della trattativa lanciata dalla prefettura ad alcune associazioni ed eletti, portano sulle pratiche che ostacolano concretamente il progetto: bloccare le strade e rioccupare le zone espulse. La scelta di liberare le strade non deve essere un termine della trattativa con chi decide ma un cambiamento di strategia discussa e decisa insieme. Conoscendo la difficoltà e sapendo che forse non sia appropriato in certi momenti di portare delle posizioni politiche in modo frontale all’interno della lotta, questo lavoro di fondo deve tuttavia continuare ad essere costante, a rischio di troncare con certi individui per avvicinarsi ad altri.

Riguardo ai media

Quando una lotta prende il volo verso l’esterno e che lo spettacolo tira fuori dal loro confort i giornasbirri, la ZAD dà una risposta interessante al problema dei media. La scelta è di affrontare questa mediatizzazione, piuttosto che evitarla, gestirla. L’automédia è una pratica risultata dal processo di discussioni collettive tanto a proposito delle manipolazioni mediatiche, quanto riguardo “la protezione del nostro anonimato” contro la repressione, ecc. Agisce sia sulla diffusione delle informazioni in modo autonomo, sia sulla diffusione ad alcuni media di comunicati o allorché prendono la parola i “Camille” mascherati. È molto difficile per i giornalisti lavorare sulla zona perchè più che non cacciarli via totalmente, il che è impossibile e che poi molte persone che lottano non desiderano, il tempo a loro impartito per poter venire sul posto è deciso in anticipo 2 vedi testo “vert de colère, ou la manifestation de récupération [verde di rabbia, o la manifestazione di recupero]”, e sono accompagnati e controllati. Durante gli scontri, più difficili da gestire, si lascia spazio all’iniziativa personale per cacciarli via se possibile.

Per la manifestazione, è stato imposto ai media di portare bracciali di identificazione e un discorso è stato fatto loro dal gruppo automedia sull’obbligo di chiedere il permesso prima di scattare foto dei visi e sul divieto di entrare nel blocco in testa all’autodifesa. Sono state imposte delle zone di resistenza dove la presenza dei giornalisti non era gradita se non perfino vietata. Per la difesa del Rosier per esempio, dove le barricate erano il perimetro, dei cartelli annunciavano chiaramente delle posizioni come questa:“avviso ai giornalisti, la vostra presenza non è gradita perchè le nostre vite non sono uno spettacolo, perchè volontariamente o involontariamente siete indispensabili al potere ed per perpetuare questo sistema...ecc.”

Questa posizione è comunque fragile perchè è rimessa in discussione regolarmente sul terreno. “ Grazie ai media, la polizia picchia meno forte, grazie ai media la gente ci appoggia, grazie ai media, il governo indietreggia, ...ecc.”. Questi argomenti di fatto di minimizzano la forza collettiva di questa lotta e ci spossiedono della nostra capacità di comunicare “direttamente” tramite le nostre reti di media autonomi e i nostri incontri diretti con la gente.

La ZAD conserva cosí una certa autonomia nei confronti dei discorsi mediatici dominanti, prova ne è la frequentazione del sito internet zad.nadir.org, consultato per informarsi e dare delle contribuzioni, da un numero di persone in costante aumento.

In questa lotta sono state costantemente portate posizioni politiche, a testimoniarne l’evoluzione degli slogan del movimento : all’inizio “No all’aeroporto di Notre Dame des Landes", diventato “ no all’aeroporto, né qui né altrove” poi “ Vinci fuori dai piedi” ( con il lancio di una campagna contro Vinci stopvinci.noblogs.org) e “ Contro l’aeroporto e il suo mondo”, poi “ Vinci fuori dai piedi, resistenza e sabotaggio”... e perchè no prossimamente “Contro questo mondo e il suo aeroporto?”

LA CASSETTA DEGLI ATREZZI (strumenti a disposizione)

*Sulla ZAD, degli strumenti di lotta che sono stati creati da mesi se non da anni mostrano sia la loro forza sia quanto siano indispensabili in questo periodo. Legal team e medics team, l’autonomia e gli *arrangiamenti *alimentari, la radio Klaxon, i sistemi di comunicazione talkies e telefoni e l’organizzazione delle riunioni tra “zadisti”, delle riunioni più accessibili alla gente di passaggio, delle assemblee generali. A volte l’organizzione di tutto ciò è incasinata perchè molto difficile da mantenere costantemente. Oggi questa “organizzazione” dipende dalla volontà di conoscere il funzionamento di questi strumenti, per permettere un appoggio a-i-lle compagn-i-e che vivono sul posto, e di ,trasmetterli per poter sentirsi a nostro proprio agio, facendo parte della lotta.

Per far durare nel tempo una mobilizzazione collettiva forte, arrangiarsi da soli non basta, bisogna dar spazio a una preoccupazione collettiva. Uno dei parametri essenziali è il rifornimento.

Sulla ZAD, è una svolta decisiva nell’organizzazione quotidiana: L’appello a dei bisogni materiali (attrezzi, cibo, calze e vestiti) s’è trasformato in un vero approvvigionamento costante per appoggiare le persone espulse e poi la lotta nella vita quotidiana. Tutti i giorni, c’è chi prepara da mangiare, con soluzioni per recuperare oppure con possibilità (finanziarie) (ri)forniscono l’effimero luogo di vita collettiva della Vache-rit, trasformato in un quartiere generale che all’inizio doveva durare solo qualche giorno. Cibo, vestiti, scarpe, stivali, coperte, lenzuola, atrezzi, pile, medicinali, maschere anti-gas...tabacco, vino...a volte benzina...

In costante rifornimento, l’impressione che nel corso delle ultime settimane, aumentano le scorte invece di diminuire. Questa solidarietà e il mettere in comune tutti i bisogni materiali sono fondamentali per riuscire a focalizzare l’energia sulla resistenza alle espulsioni e gli attacchi a chi gestisce il progetto; sopratutto in un contesto di occupazione militare con dei checkpoints sulla zona e nei villaggi dei dintorni. Questo rifornimento è stato reso possibile anche grazie a Radio Klaxon, aiuto complementare indispensabile : accendi la radio pirata per sapere dove sono i checkpoints e quindi portare tranquillamente le tue carote e maschere anti-gas.

Si vive una strana esperienza, quella di non doversi preoccupare dell’ approvigionamento. In effetti, da un canto la bellezza quotidiana di vedere tutte queste persone portare tutto ciò di cui c’era bisogno, dall’altro, non c’è stato mai un momento per poter riflettere alla possibilità di uscire dalla zona per andare a prendere insieme quello di cui avevamo bisogno perchè non era necessario. Di nuovo, è bellissimo, perchè mai a nostra conoscenza era stata vissuta una situazione con un approvigionamento di una tale efficenza, ma è importante immaginare come la necessità ed il bisogno può sfociare su opportunità di riappropriazione materiale. Il fatto è che in altre lotte sociali, sopratutto in città, facciamo parte di lotte “di poveri”, ove quando ci s’immagina una situazione di rottura con l’isolamento in un contesto conflittuale con il potere, dobbiamo pensare al modo di riappropriarci ciò di cui abbiamo bisogno, cercare (e andare a prendere) nei luoghi di produzione capitalista quello di cui c’è bisogno per nutrirsi, per costruire, per proteggersi, per attaccare. Dobbiamo continuare a riflettere ai modi di creare sulla ZAD delle possibilità di espropriazione dei nostri bisogni, e nelle nostre città costruire strumenti, complicità e solidarietà che possono corrispondere a dei bisogni importanti durante una situazione di movimento di lotta.

Ad un altro livello, seguito all’espulsione e alla distruzione del Sabot (l’orto collettivo della ZAD) e nell’ottica della fine delle procedure di espropriazione delle fattorie e terreni sulla ZAD inizio 2013, l’autoproduzione di cibo, occupando e coltivando in modo collettivo, potrebbe riemergere. È in particolare tramite la volontà di riappropriazione della terra per produrre cibo che il movimento porta in modo concreto la difesa della ZAD, tramite la continuità delle attività contadine e per continuare a vivere sul posto.

MODI D’AZIONE

La manifestazione di rioccupazione, di cui il processo organizzativo risale a più di un anno, è stata organizzata ben aldilà del movimento di occupazione della ZAD e della rete Reclaim the fields. In testa a 30 000 persone, il blocco di autodifesa, incappucciato con dei carrelli-banderuole rinforzate, avanzando agli slogan di “Li fregheremo, siamo ancora qui, Vinci smamma, resistenza e sabotaggio” “la madrepatria ci vuole divorare, che crepasse, che crepasse di fame”, “governare o lottare, si deve scegliere per forza, burocrate, rosa o verde, ci fai vomitare, smamma, smamma dal bocage verde di rabbia” è ben accolto, approvato e a volte applaudito.

Si è parlato molto di barricate perchè questa parola e quel che ci si vive apre la strada e il fantasma a bloccare frontalmente gli oppressori armati e crea una zona “libera” che si organizza in modo collettivo senza lo Stato. Non è tanto il fatto d’aver speso ore con sassi e bottiglie in mano con altre persone valide dietro a gomme e rotoli di fieno che è un passo importante nella lotta, ma piuttosto la complementarità con altre attività. Sapere che allo stesso tempo, “noi” costruiamo delle capanne collettive, “noi” alimentiamo il flash informazioni del sito internet, “noi” mettiamo a posto il freeshop, “noi” portiamo il rifornimento cibo-bevande (calde) attraverso i campi e i boschi, “noi” piratiamo la radio di VinciAutostrade per informare, per parlare della lotta contro l’aeroporto, contro il TAV, contro le frontiere, la repressione e il carcere...

Potevamo percepire che la barricata, come difesa e arma della ZAD, “era dappertutto”. È opportuno dunque smettere di mistificare la barricata in quanto tale, e di organizzarsi veramente per reggerle o abbandonarle a seconda delle “nostre” strategie.

È stata evocata più volte l’atmosfera di merda intorno delle barricate : parolacce sessiste, omofobe e razziste agli sbirri, atmosfere virili da “coglioni grossi cosí” e il ciascuno per i cazzi suoi, che rovinano molte cose. Quel che ha permesso agli sbirri di travestirsi in “zadisti” e arrestare alcun-e-i di noi (ne riparleremo), non è tanto la loro buona e audace organizzazione ma la nostra inabilità ad essere compatti, a parlarci e ad organizzarci veramente, a lasciare il meno possibile le probabilità ad un sbirro d’intervenire accanto a noi, perchè non siamo dietro alle barricate solo perchè fa figo. Delle barricate sono spontaneamente messe su da un giorno all’altro, si trasformano in campo di basket, palco all’aperto o ci si gioca a carte, si rimodellano in chicane per lasciare passare la gente della zona con allestimento di un “preda-ggio Vinci” gratuito con area di parcheggio e discussione per un minuto o un’ora. Un sacco di gente e di gruppi di orizzonti politici diversi ci si incontrano, ci si organizzano, ci si confrontano. Forse non c’è la fiducia necessaria per un “organizzazione collettiva e costante”, ma ogni barricata ogni giorno tenta di difendersi con techniche differenti. Molte persone hanno vissuto, vivono e vivranno le loro prime esperienze di barricate campestri, di nubi di gas e di assalti della polizia, di rapporti individuali rispetto alle attrezzature difensive e offensive. La posta in gioco è trasmettere e scambiarsi delle pratiche di lotta, delle strategie di protezione, di difesa e di attacco. (Vedi testo “texte Guérilla bocagère ? » sur Indymedia Nantes).

In queste ultime settimane, è stato fatto un balzo avanti importante rispetto ai modi di azione. Evidentemente, non è scontato nulla per il seguito e si tratterà di continuare a trasmetterli, a portarli e a rinforzarli. Balzo avanti perchè mesi fa nessuno immaginava che vivremmo questo superamento della classica divisione tra violenza/non-violenza. D’altronde, non c’è stato molto bisogno di affrontare questo discorso. Grazie ad un contesto di lotta ove è stata soppressa la mediazione sul terreno, si è materializzata questa volontà di distruggere le categorie/classificazioni(etichette) che rivendicano, portano, o di cui sono tacciate le persone.

Durante i due giorni di scontri del venerdí 23 e sabato 24 novembre, foresta di Rohanne e Chat-teigne sono state difese contro la venuta dei militari da qualche decina di persone. I macchinari di saccheggio entrano nei boschi, scortati da centinaia di sbirri, che accerchiano le due zone. Mentre scoppiani i primi scontri, decine poi centinaia di persone riescono a raggiungere la ZAD tramite le strade bloccate dai furgoni. Molto rapidamente, delle persone, conoscendo i sentieri che permettono di raggiungere i luoghi di scontro, accompagnano dei gruppi di decine di persone il più vicino possibile ai macchinari. Determinazione, coraggio e solidarietà saranno le nostre principali armi. Gli sbirri sono molestati senza tregua, con tutti i modi di azione, l’uno affianco all’altro.

Una catena umana tenta di forzare il cordone di poliziotti, dei cocktails molotov sono lanciati sui macchinari, gli slogan “Polizia smamma, dal bocage”, “Vinci smamma, resistenza e sabotaggio” rintronano da una foresta all’altra, fuochi d’artificio e razzi di emergenza sparati a tiro teso illuminano l’oscurità che sta calando. Sotto le nubi di lacrimogeni e di granate assordanti, tutti indietreggiano, escono dai boschi, poi ci tornano. Alla sera di venerdí, non ce l’avevano fatta a prendere le capanne, e quando si sono ripiegati, avevano come minimo del fango sulle loro visiere ed armature. L’indomani, durante l’ultimo assalto della polizia che ferirà molti di noi e che ci farà abbandonare la foresta, nessuno dichiarerà che abbiamo “perso” a causa dei “violenti” che hanno scagliato “delle cose” o a causa dei “pacifisti” che non sono stati abbastanza decisi. Queste parole, che alcun-i-e vogliono definire come categorie, sono delle pratiche di lotta e dei modi di azioni, adattabili e complementari a seconda del contesto.

Accusiamo il colpo insieme, e le nostre ferite, piuttosto che provocare paura, rinforzano la determinazione. La sera stessa c’erano ancora decine di persone a molestare gli sbirri fino a notte inoltrata. L’indomani, domenica, centinaia di persone si ritroveranno per fare un pic-nic alla Chat-teigne, passando dalla foresta di Rohanne devastata il giorno prima, poi sorrideranno e risentiranno la nostra forza all’arrivo di 40 trattori ( e trattrici!) che si incateneranno senza data limite intorno alle nuove capanne costruite.

Ci piacerebbe che i modi di azione evolvino verso maggior mezzi di difesa contro gli sbirri e verso più attacchi contro i mezzi di realizzazione del progetto. Ma sono questi momenti, quando varie forme di azioni si fiancheggiano e si susseguono, che lasciano intravedere la continuità del movimento, la continuità del rapporto di forza, la possibilità di escludere delle dissociazioni future senza per altro compromettersi.

Per la difesa del Rosier, de-i-lle contadin-i-e (“contadin-o-a anarchica o anarchic-o-a contadin-o-a, ma in fondo chi se ne frega !”) arrivano di notte e scaricano 40 rotoli di fieno, una barricata in più fatta insieme.”- Ci vediamo domani alle 5 per difenderla? –No, un po’ più tardi. Alle 5 ho la mungitura!”. Una discussione sulla rioccupazione delle terre agricole con i-le contadin-i-e “del posto”, si avvicina un elicottero della gendarmeria sul quale, a qualche metro di distanza, vengono sparati dei razzi di emergenza, la discussione non si interrompe, l’elicottero si allontana... I trattori circondano la casa, sosteniamo la volontà dei contadi-ni-e di fare una conferenza stampa, proveniente dalla redazione di un comunicato scritto insieme (vedi comunicato del Rosier ), e sorridiamo quando decidiamo che la conferenza stampa sarà fatta dal rimorchio di un trattore, mascherata, e che il-la "blackbloc" si presenterà come “contadin-o-a” e che i-l-a “contadin-o-a” si presenterà come "blackbloc". Questa situazione non la viviamo come un compromesso rispetto ai mass media. Decidiamo pure che per difendere la casa, non ci saranno conflittualità dirette riguardo ad essa. Ciò non impedirà la determinazione a restare fino alla fine degli occupanti e dei contadini, fino alla distruzione della casa, fino a farsi gassare e bucare le gomme dei trattori; e che contemporaneamente sulle barricate, saranno sferrati attacchi contro gli sbirri.

Non sappiamo per quanto tempo questa resistenza all’espulsione della ZAD e dunque di confronto durerà. Quel che è certo, è che questi vari modi di azioni, e sopratutto la conoscenza reciproca degli individui che le portano, serviranno per il seguito. Le possibilità ne sono trasformate. Non siamo riusciti per adesso a unire resistenza alle espulsioni e azioni contro il progresso dei lavori (gli scavi archeologici, per esempio). Dobbiamo rifletterci, perchè si tratta di creare forme di organizzazione. Far circolare discretamente l’informazione tramite delle conoscenze dirette d’ora in poi non circoscritte né a dei piccoli gruppi sulla ZAD, né ad associazioni.

Chiamare anche a delle giornate di azione contro i lavori, oramai capaci di mobilitare parecchie migliaia di persone. La pluralità dei modi di azione che si affiancano queste ultime settimane deve essere portata anche in questa direzione: bloccare gli accessi delle ditte che effettuano i lavori, e invadere le zone di scavi per bloccare i lavori e mettere fuori uso i macchinari.

EVOLUZIONE STRATEGIA DELLA POLIZIA - REPRESSIONE

Questo movimento si rinforza e dobbiamo confrontarci all’evoluzione della strategia della polizia. Quel che è certo, è che lo schieramento repressivo non è sproporzionato. Ci possiamo indignare ma bisogna capire che lo Stato spiega la sua forza mano a mano che la nostra determinazione aumenta. La repressione è inerente all’esistenza dello Stato, e colpisce quotidianamente nei quartieri, alle frontiere, nelle guerre in tutto il mondo. Questa lotta contro lo Stato e una multinazionale inizia con un “No all’aeroporto” ma non è dissociabile dalla lotta contro il mondo che l’accompagna... È proprio questa coscienza, portata da alcun-i-e opponenti, che si diffonde a poco a poco in questa lotta.

Quando la divisione tra « buon-i-e » e « cattiv-i-e » opponenti martellata dai politici e ritrasmessa dai media non funziona più, quando gli appelli alla calma non trovano risposta, allora calano le maschere e lo Stato e suoi sbirri non si celano più dietro alla parvenza di promotori della pace sociale. Noi combattiamo un progetto d’aeroporto difeso da dei gendarmi, dunque dei militari addestrati per fare la guerra. Ne hanno le pratiche.

Durante la resistenza all’espulsione del Rosier il venerdí 23 novembre, i marmittoni, accompagnati dai giornasbirri di France Télévison (Televisione statale francese), sono intervenuti di notte, a piedi, aggirando le barricate e sventando i nostri dispositivi di allarme, per circondare la casa. Questo fu l’inizio di una occupazione militare 24h/24h sulla ZAD. Il giorno stesso, mentre eravamo centinaia a lottare fianco a fianco nei boschi e intorno alle barricate, allorchè bloccaviamo i loro macchinari, a volte fino a farli indietreggiare, i marmittoni non esitavano più a sparare nel mucchio, gassanto a bruciapelo, sparando a tiro tesogranate lacrimogene e assordanti e mirando al viso con le flashball durante gli scontri. Qualche giorno dopo, è stato varcato un nuovo limite il martedí 27 novembre quando, sulla strada D81 che porta al FarOuest, una decina di sbirri in borghese, vestiti di nero e con indumenti impermeabili, s’infiltra, aiutando a disporre fil di ferro e filo spinato sulla barricata, parlando poco tra di loro, e venti minuti dopo, ben coordinata con la carica dei gendarmi mobili, se ne approfitta per arrestare cinque di noi.

Cosí, dobbiamo quindi affrontare la giustizia, seconda faccia complementare della moneta repressione. Queste ultime settimane sono state pronunciate, condanne di divieto di soggiorno per due anni sul territorio della Loira Atlantica o nei villagi vicini alla ZAD, delle pene di carcere con la condizionale, e durante l’ultima spedizione repressiva degli sbirri in borghese sulla barricata del FarOuest, cinque mesi di reclusione. Spargete la voce, la polizia è dappertutto, la giustizia è dappertutto, e la prigione non è oramai più “esterna” al movimento. È quindi urgente e indispensabile rinforzare la solidarietà con chi di noi si ritrova nelle grinfie della giustizia e della prigione, alle prese con il loro ruolo di esclusione, d’incarcerazione e di isolamento fisico. Dobbiamo fare un balzo avanti riguardo alla messa in pratica della nostra autodifesa in campo (organizzazione e pratiche di disarresto intorno alle barricate per combattere la presenza d’infiltrati, dispositivi contro le loro armi, materiale medico, scudi e maschere anti-gas), della nostra autodifesa giuridica (conoscenza e sviluppo degli strumenti anti-repressione portati dalla legal team), e della solidarietà concreta sin di fronte ai commissariati di polizia, le sale dei tribunali, i dintorni delle prigioni e le loro gabbie di tortura e di oblio. Dopo momenti forti di lotta, alla lunga, chi è incarcerat-o-a non deve sentirsi sol-o-a. Una prima reazione necessaria è scrivergli in massa, riunirsi rumorosamente davanti ai muri silenziosi della prigione, far esplodere dei fuochi d’artificio contro l’oscurità delle celle. E naturalmente continuare a lottare contro l’aeroporto e il suo mondo, contro ciò per cui i nostri compagn-i-e erano insieme a noi.

LA TAPPA DI UN MOVIMENTO

Si possono identificare cinque dinamiche generali che facevano già parte della lotta e di cui alcune si sono rinforzate durante l’ultimo periodo :

- la resistenza alle espulsioni dai luoghi che le forze repressive non sono riuscite ad espugnare, compresi i nuovi luoghi ricostruiti.

- la rioccupazione e la definizione dei luoghi di organizzazione collettiva, tra “casa di lotta”, “sistemazione, (sopravvivenza) vita quotidiana” e perspettive di occupazione collettiva delle terre agricole e fattorie che devono essere lasciate al primo gennaio 2013.

- le azioni contro i lavori dell’aeroporto : scavi archeologici in corso, trasferimento degli animali ed anfibi dalla ZAD verso l’esterno ( tramite costruzione di zone umide fuori dalla ZAD), deforestazione prevista durante l’inverno ma presumibilmente respinta di 6 mesi seguito alle dichiarazioni statali.

- portare la lotta delle nostre « realtà quotidiane » sulla ZAD, contro il sessismo, il vandalismo ed altre oppressioni.

- le azioni di solidarietà decentralizzate contro l’aeroporto, si moltiplicano mano a mano che chi è passato dalla ZAD ne riporta un pezzo “a casa”.

Quali sono le dinamiche più presenti, sulle quali concentrarsi più specificatamente, come portarle tutte insieme allo stesso tempo?

Decine e decine di persone arrivano sulla zona. Alcun-i-e non hanno in mente il contesto di questa lotta in modo molto chiaro; i legami con gli abitanti che continuano a rinforzarsi. Alcun-i-e che, secondo noi, hanno un rapporto di consumo riguardo alle situazioni di conflitto, senza tentare di capire come si inseriscono nella lotta.

Questo intenso periodo sulla ZAD dura da ormai più di 6 settimane. Le ricostruzioni e barricate per proteggere i luoghi sono mezzi concreti per ostacolare l’espugnazione della zona da parte dello Stato e la presenza più o meno forte dei suoi sbirri in zona. Questa situazione provoca dei cambiamenti nella vita quotidiana e organizzativa che alla lunga non sono sempre facili. Le perdite materiali (e emozionali) sono grandi, gli.le occupanti devono (ri)trovare i desideri, luoghi, collettivi, sensi, modi di rioccupare e di inserirsi in questo movimento. Dove vivere? Per adesso rioccupare è un mezzo di azione che ostacola concretamente il progetto; continuare a qualunque costo? Quand’è che ci sarà la possibilità di pensarci veramente, in questi momenti di difesa del luogo? Rinforzare i legami con i-le contadin-i-e e gli individui esterni, collettivizzare le terre alimentari, portare delle offensive contro i lavori, non è sempre compatibile con un periodo di confronto diretto contro l’occupazione militare.

Nel medesimo tempo, avremmo voglia di protrarre sempre di più questa tappa, perchè è interessantissimo immaginare che più si prolunga questa rottura con la “normalità” di una lotta, più ciò genera delle possibiltà per organizzarsi meglio strategicamente e materialmente.

In più ciò apre orizzonti che non avevamo immaginato prima. Questo periodo di braccio di ferro con lo Stato e i suoi cani è relativamente eccezzionale, avremmo voglia di saggiarlo e spingerlo sempre più in là. Ma la stanchezza ed il sentimento di essere un po’ sopraffatt-i-e dalla perdita di tanti luoghi, danno anche voglia di passare ad’un altra tappa. A partire da gennaio, alcune procedure d’espropriazione toccano il loro termine, la determinazione di alcun-i-e abitanti che resistono, può far si che “passare ad un’altra tappa del movimento” sarà forse proseguire questa ... Tutto ciò a volte da le vertigini...non avevamo provato tale sensazione da parecchio tempo...e quant’è bello!

ANDIAMO ?!!!
Vorremmo rinforzare l’invito lanciato dalla ZAD. Vorremmo formulare chiaramente la sensazione che, malgrado la presenza di centinania di persone, pochi dei compagn-i-e con cui lottiamo da parecchi anni sono potuti venire per qualche settimana sulla ZAD. Questa occasione di potersi organizzare “abbondantemente” contro un’occupazione militare, di coordinarsi tra gruppi di varie città, di fare una pausa per discutere delle perspettive di questa lotta, del senso che potrebbe avere la nostra presenza sul posto, ci è mancata.

Ci rendiamo conto che le possibilità di ritrovarsi laggiù ricompariranno regolarmente, e dovremo essere tenaci e strategic-i-he nell’articolazione delle azioni decentralizzate contro l’aeroporto, e la presenza sul posto agli appelli lanciati dalla ZAD. Uno degli obbiettivi a medio termine potrà ugualmente essere di determinare “noi stessi” momenti d’intervento sulla ZAD, senza seguire il ritmo imposto dalle offensive della polizia o la progressione dei lavori.

Un appuntamento importante per (ri)trovarsi è senza dubbio il week-end di incontro del 15 e 16 dicembre dei comitati e dei gruppi, di fatto in lotta, creati queste ultime settimane contro l’aeroporto ovunque in Francia (Marcia).

Pensiamo dover rifletter al fatto del “far parte” del movimento, di non organizzare una “rete parallela” di gruppi che non si confronteranno mai alla “realtà” sul posto della lotta.

Riflessione, sostanzialmente perchè questa dinamica potrebbe ricomparire lì dove viviamo, contro altri progetti d’infrastrutture, contro l’urbanismo, contro la pianificazione delle notre vite.

Risuona l’eco di un discorso portato ultimamente dalla ZAD : “Che si sparga lo spirito della ZAD nelle metropoli!” Al che vorremmo rispondere con questo testo : “Che le nostre rabbie e le nostre lotte sparse si ritrovino sulla ZAD!”

Contro questo mondo e il suo aeroporto,

PS : Potendo e dovendo partire siamo riusciti ad avere il tempo di riflettere e di impostare le discussioni che abbiamo avuto sul posto per scrivere questo testo. A quell-i-e che sono “laggiù”, vi pensiamo tanto! Speriamo che altri potranno parlare delle loro esperienze e analisi della lotta in corso, provocare discussioni e riflessioni, per diffondere la rabbia e l’amore di questi momenti che abbiamo vissuto.

PS2 : vincere la lotta ? per alcun-i-e è già il caso, per altri la vittoria è in corso, per altri è prossima, per altri ancora, e sopratutto, si continua.

Delle spine del Rosier.